Biodiversità: la linfa vitale per l’innovazione in agricoltura
Le risorse genetiche vegetali

L’aumento del fabbisogno di cibo per una popolazione mondiale che l’ONU stima possa toccare i 9,8 miliardi di individui entro il 20501, la riduzione delle terre coltivabili a favore dell’urbanizzazione, nonché i cambiamenti climatici che già oggi stiamo sperimentando e che mettono a dura prova la resilienza del comparto primario, rappresentano le principali sfide che il sistema agricolo mondiale è chiamato ad affrontare.
Questa sfida può essere vinta solo coniugando l’esigenza di aumentare le rese agricole con la necessaria salvaguardia e utilizzo delle risorse vegetali esistenti. Al mondo della ricerca è richiesto un notevole sforzo perché possa soddisfare in tempi rapidi, in termini sia quantitativi che qualitativi, le esigenze di un mondo che chiede di produrre, oltre a cibo e mangimi, anche bioenergia e biomateriali, attraverso pratiche ecosostenibili.
Semplicemente con le abitudini di tutti i giorni i consumatori incontrano la biodiversità sotto varie forme; ogni frutto o verdura che consumiamo rappresenta una specifica risorsa genetica, coltivata localmente o in altre regioni del mondo. Anche dietro ogni singolo ingrediente vi è un ricercatore che, fra centinaia di nuove varietà candidate ad entrare in commercio, ha riscontrato caratteristiche favorevoli, ad esempio una tolleranza allo stress ambientale, alle malattie, l’adattamento alla trasformazione industriale o, semplicemente, una migliore consistenza o un gusto diverso.
La biodiversità non è infatti solamente la conservazione in collezioni o banche dati di risorse genetiche, ma è fonte di innovazione per l’agricoltura attraverso la creazione di altra biodiversità grazie a nuove combinazioni di quella esistente per soddisfare le esigenze della società e rispondere alle necessità dell’agricoltura.
Così, in tanti casi, gli “antenati” di una varietà possono in realtà provenire da altre aree del mondo, dove caratteristiche uniche e utili sono state rilevate. Tali risorse genetiche, di norma, portano con sé anche tratti indesiderati che sono svantaggiosi per gli agricoltori.
Pertanto, è compito dei costitutori avviare il processo per la loro rimozione, combinando le caratteristiche delle varietà attuali con i tratti interessanti portati dal nuovo genitore. Per esempio, per mettere a punto e trasferire nella prima varietà commercializzabile di barbabietola da zucchero un tratto di resistenza al nematode rinvenuto in una razza selvatica ci sono voluti quasi 15 anni2.
Si tratta quindi di un processo lungo, laborioso e costoso, in grado però di consegnare all’agricoltura traguardi significativi in termini di resa produttiva: nel caso del frumento duro la ricerca, ad esempio, ha consentito incrementi produttivi pari a circa un quintale ad ettaro ogni 5 anni. Questo importante lavoro, su cui le aziende sementiere arrivano ad investire il 15 – 20% del proprio fatturato annuale, può sopravvivere solo se sorretto da un sistema di regole univoche e chiare, garantendo un equo accesso alle risorse genetiche vegetali.
Strumenti per la tutela della biodiversità
Al fine di regolamentare l’accesso e la conservazione delle risorse genetiche la comunità internazionale, nel rispetto della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), ha istituito due strumenti internazionali per preservare la variabilità vegetale e l’accesso alle risorse genetiche: il Trattato internazionale sulle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura (IT-PGRFA) e il Protocollo di Nagoya. Entrambi gli accordi sono giuridicamente vincolanti per i paesi firmatari e stabiliscono un meccanismo di condivisione dei benefici derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche.
Il Trattato Internazionale è stato adottato a Roma il 3 novembre 2001 dalla 31a riunione della Conferenza della FAO e successivamente ratificato dal Parlamento italiano con legge n. 101 del 6 aprile 20043. Ad oggi 148 nazioni4 sono firmatarie dell’accordo che comprende 64 specie di interesse per l’alimentazione umana e animale, in grado di soddisfare circa l’80% della domanda globale di alimenti e mangimi5. Gli usi industriali delle risorse genetiche non sono tuttavia disciplinati. Il Trattato promuove un sistema multilaterale basato su un accordo standard, salvaguardando inoltre le specifiche esigenze della ricerca varietale e propone un modello aperto di accesso alle risorse.

Il Protocollo di Nagoya invece disciplina tutte le risorse genetiche, vegetali, animali o microrganismi per un ampio spettro di utilizzi e impone un complicato modello di gestione bilaterale delle risorse genetiche, mediante specifici accordi tra l’utilizzatore e il fornitore di tali materiali. Il Trattato FAO ha la priorità sul protocollo di Nagoya per le specie e gli usi che disciplina, tuttavia, ogni volta che una specifica risorsa genetica non risulta coperta dal Trattato (annex I), il protocollo di Nagoya subentra e ne regolamenta sia l’accesso che la condivisione dei benefici. Va inoltre evidenziato che a differenza del processo di scambio di risorse genetiche standardizzato previsto dal Trattato, il Protocollo di Nagoya impone ai paesi di sviluppare individualmente la legislazione nazionale di attuazione; queste norme variano significativamente tra paese a paese e persino l’attuale regolamento UE 511/2014 indica semplicemente misure di conformità generali senza dettagliare aspetti operativi. Ciò comporta che ogni qualvolta i costitutori desiderino utilizzare una risorsa genetica nell’UE di una specie non regolamentata dal Trattato FAO e quindi ricadente sotto il Protocollo di Nagoya, essi debbono ottenere certificati di conformità riconosciuti a livello internazionale dal paese di origine della risorsa genetica, in particolare la cosiddetta “due diligence” che attesta che le procedure e le attività sono conformi alle disposizioni dettate dal Protocollo, talvolta integrate da compensazioni negoziate bilateralmente.
Poiché anche in caso di attività di screening varietale su materiali in natura e non in commercio o comunque non ufficialmente descritti, queste dichiarazioni devono essere prodotte per ciascuna risorsa genetica coinvolta, il carico di burocrazia rischia di disincentivare concretamente l’attività di ricerca, anche in considerazione del fatto che in ogni stato membro dell’UE, questi passaggi assumono forme e tempistiche diverse, ovvero coinvolgono agenzie governative differenti.

Un caso pratico6 mostra le conseguenze dell’attuazione del protocollo di Nagoya nell’UE: una varietà di grano proveniente dal Centro internazionale di miglioramento del mais e del frumento (CIMMYT) è il risultato di 3.170 incroci che coinvolgono 51 varietà provenienti da 26 paesi. Il processo di riproduzione della nuova varietà è stato compiuto nel corso di molte generazioni da diversi breeders. Ogni discendente di ciascuno dei 3.170 incroci (nonché la stessa varietà risultante) rappresentano una risorsa genetica. I nastri intrecciati mostrano l’attività dei costitutori: se per ciascuna risorsa utilizzata per la ricerca e l’ulteriore selezione si dovesse operare come previsto della legislazione UE sul Protocollo di Nagoya, i breeder avrebbero dovuto documentare l’origine di ciascuna di queste linee di riproduzione. Un compito praticamente impossibile.
Requisiti come questo, così come le ambiguità legali potrebbero indurre i costitutori ad utilizzare solo materiale genetico proveniente dai propri pool genetici piuttosto che da più fonti diverse, con l’effetto di andare contro lo scopo del Protocollo di Nagoya e lo spirito della Convenzione sulla diversità biologica.
Un altro importante strumento per lo sviluppo di nuove varietà è la cosiddetta esenzione del costitutore “breeders’ exemption”, che deriva dalla legislazione sulla protezione delle varietà vegetali UPOV e che garantisce, in 757 paesi, l’accesso e l’utilizzo legale di varietà protette come punto di partenza per lo sviluppo di nuove varietà secondo un modello “open-source”. L’importanza di questo strumento è giustamente salvaguardata dal Trattato, consentendo così ai costitutori di accelerare i progressi nella selezione, raggiungendo prima i propri obiettivi.
Rafforzare il trattato F.A.O.
Il Trattato FAO copre 64 specie agrarie e ortive, tuttavia molte ne restano escluse e fra queste alcune di primaria importanza come la soia, il pomodoro, la cipolla, le lattughe ecc.
In altre parole, ad eccezione di poche specie quali pisello, cavolo, carota, fagiolo, patata, cece e melanzana, mancano all’appello tutte le specie orticole!
Occorre dunque sostenere fermamente l’estensione del Trattato a tutte le colture agricole coltivate anche quando sono utilizzate per scopi non alimentari, ad esempio per bioenergia o altri scopi industriali.
Siccome in ambito di ratifica UE il Protocollo di Nagoya attribuisce priorità al Trattato nei casi in cui le specie vegetali e gli usi in questione siano effettivamente già coperti da questo strumento, un eventuale allargamento delle specie coinvolte costituirebbe un obiettivo razionale che porterebbe il Trattato FAO da lex specialis a lex generalis.
La posizione di Assosementi
LE SFIDE CHE L’AGRICOLTURA È CHIAMATA A RACCOGLIERE POSSONO ESSERE VINTE SOLO ATTRAVERSO LA PIÙ AMPIA DISPONIBILITÀ DI RISORSE GENETICHE VEGETALI DA METTERE A DISPOSIZIONE DEI COSTITUTORI
- Difendere il ruolo fondamentale che le ditte sementiere svolgono nel mantenimento della biodiversità: solo in ambito comunitario l’attività di breeding garantisce mediamente la costituzione di 20 nuove varietà al giorno!
- Tutelare l’accesso alle risorse genetiche e il riconoscimento dei benefici derivanti dal loro utilizzo, attraverso un sistema quanto più snello e standard possibile, applicabile da tutte le imprese, anche quelle medio-piccole, evitando che l’attività di ricerca possa essere pregiudicata da un rigoroso e oneroso sistema di regole;
- Sostenere l’applicazione della cosiddetta “esenzione del costitutore” (breeders’ exemption) riconosciuta in ambito UPOV (International Union for the Protection of New Varieties of Plants) che consente di accedere liberamente alle risorse genetiche, anche qualora tutelate, per finalità di ricerca e sperimentazione;
- Perseguire l’obiettivo della semplificazione delle modalità di accesso alle risorse genetiche e di condivisione dei benefici che ne derivano, come previsto del Trattato FAO cui l’Italia aderisce dal 2004, evitando procedure complesse e un’eccessiva burocrazia, alla portata solo di aziende particolarmente strutturate;
- Allargare il ventaglio delle specie coinvolte dal Trattato FAO e renderlo applicabile a tutte le risorse genetiche vegetali con utilizzo agricolo e alimentare, determinando per questi materiali l’esclusione dal regime operativo previsto dal Protocollo di Nagoya.