Plant breeding Innovation
L’importanza del breeding
L’agricoltura moderna è chiamata ad affrontare sfide sempre più impegnative, come garantire la sicurezza alimentare – sia in termini quantitativi che igienico-sanitari – in un contesto generale caratterizzato da: un rapido incremento demografico, atteso soprattutto nelle regioni più depresse del pianeta, che ospiterà 9,8 miliardi di individui entro il 2050(1); un’urbanizzazione crescente che determinerà anche una sensibile contrazione delle terre arabili; una maggiore instabilità delle condizioni produttive dovuta da un lato ai cambiamenti climatici e dall’altro alla globalizzazione dei commerci, fattori che favoriscono la diffusione di nuovi patogeni, in grado di provocare emergenze fitosanitarie che devono essere gestite in uno scenario in cui il consumatore spinge per la riduzione dell’utilizzo di fitofarmaci e l’aumento della sostenibilità.
L’agricoltura può affrontare tutto questo solo attraverso una continua innovazione ed uno degli strumenti fondamentali di cui dispone è l’attività di breeding, vale a dire la capacità di incrociare e selezionare varietà vegetali per ottenerne delle nuove con specifiche caratteristiche. Questa attività è antica quanto l’agricoltura stessa ed è stata svolta, sin dalle sue fasi iniziali, in modo inconsapevole attraverso una semplice selezione degli individui visibilmente più promettenti per poi divenire, dopo le scoperte di Mendel sulla trasmissibilità dei caratteri ereditari, una vera e propria scienza. Il patrimonio a cui può attingere chi si occupa di breeding è quello che viene definito biodiversità, frutto di secoli di incroci spontanei e mutazioni naturali.
In molte varietà selvatiche, vale a dire i progenitori delle varietà oggi coltivate, sono presenti meccanismi di resistenza a patogeni che la specie si è trovata ad affrontare nel corso della sua storia evolutiva e capacità di adattamento a condizioni climatiche avverse; caratteristiche che sino ad oggi potrebbero non essere state adeguatamente valorizzate nelle varietà maggiormente coltivate poiché non rappresentavano un immediato vantaggio o una opportunità per la pianta o per l’uomo in determinate condizioni (es. assenza del patogeno o condizioni climatiche più favorevoli), ma che sono rimaste presenti nel patrimonio delle piante ed alle quali possiamo ora attingere per rispondere a nuove e diversificate esigenze. Allo stesso tempo in queste nuove varietà coltivate si sono concentrate innumerevoli altre caratteristiche positive, apprezzate dagli agricoltori e dai consumatori.
Combinando e ricombinando il germoplasma disponibile – attinto da varietà esistenti, dalle banche dei semi o da specie spontanee affini – i costitutori di varietà vegetali mettono a disposizione del mercato nuova variabilità, adatta a diversi tipi di agricoltura, alla filiera alimentare e al consumatore finale.
La messa a punto di una qualsiasi novità vegetale è però un processo lungo e laborioso che comincia dalla valutazione della biodiversità disponibile per arrivare ad un genotipo idoneo ad incontrare l’interesse dell’agricoltura e del mercato. Tale processo, nella migliore delle ipotesi, richiede circa otto-dieci anni prima dell’immissione in commercio della nuova varietà, tenendo presente che più è ampia la biodiversità valutata inizialmente e maggiore è il numero di incroci effettuati e valutati, maggiore è la probabilità di riuscita ma con tempi e costi molto superiori.
L’industria sementiera investe in ricerca molte risorse, fino ad arrivare al 15-20% del proprio fatturato annuo, con l’obiettivo di individuare nuove varietà in grado di garantire maggiori produzioni e sviluppo sostenibile; si tratta di una quota ben superiore a quella che altri settori industriali destinano a ricerca ed innovazione.
Studi recenti (The economic, social and environmental value of plant breeding in the European Union realizzato dall’HFFA Research GmbH, autore Steffen Noleppa) hanno dimostrato il fondamentale supporto dell’attività di miglioramento genetico vegetale allo sviluppo dei moderni sistemi produttivi. Tali lavori hanno evidenziato ad esempio come negli ultimi 15 anni:
- la produzione annua di patate sia aumentata di 10 milioni di tonnellate, facendo della UE un soggetto esportatore anziché importatore. Il 60% di tale aumento può essere attribuito al miglioramento genetico;
- la produzione europea di frumento è cresciuta di oltre 22 milioni di tonnellate. L’80% di tale aumento può essere attribuito al miglioramento genetico;
- la produzione europea di colza è aumentata di 3,3 milioni di tonnellate sufficienti a produrre 1,4 miliardi di litri di biodiesel. L’80% di tale aumento può essere attribuito al miglioramento genetico, senza considerare le ricadute positive ed estremamente importanti in termini di stabilità dei prezzi, occupazione, sostenibilità ambientale con minori emissioni di CO2 e risparmio idrico.
Nonostante la portata degli investimenti e dei risultati finora ottenuti, i tempi derivanti dall’impiego di tecniche di miglioramento tradizionali sono troppi lunghi per poter sostenere i ritmi dei cambiamenti globali e la velocità con cui mutano, si evolvono e si diffondono molti dei patogeni che colpiscono le varietà coltivate.
I nuovi metodi di miglioramento genetico (NBTs)
Grazie ai progressi tecnologici i ricercatori dispongono oggi di strumenti di breeding innovativi genericamente definiti NBTs (New Breeding Technologies) in grado di contenere i tempi normalmente necessari per produrre nuove varietà. Tali tecniche (genome editing in particolare) oltre a ridurre i tempi offrono anche altri vantaggi, come la possibilità di essere applicate a più specie, ivi incluse quelle minori, a costi sostenibili anche per le piccole e medie imprese.
Fatto salvo che la fase iniziale del processo di breeding si concentra sull’identificazione di caratteristiche utili presenti nella biodiversità esistente, con il ricorso alle NBTs tali caratteristiche possono essere trasferite in modo mirato e specifico, andandole ad inserire in varietà che poterebbero essere già quasi idonee al commercio, riducendo il numero di incroci e le tempistiche per la immissione sul mercato. Va inoltre sottolineato che i prodotti risultanti dall’impiego di queste tecniche possono essere del tutto analoghi ed indistinguibili da quelli ottenuti con tecniche di miglioramento genetico convenzionale o attraverso mutazioni che avvengono spontaneamente in natura.
Grazie ai tanti progetti di ricerca svolti in centri internazionali e nazionali per lo screening della biodiversità esistente in molte specie, sono disponibili informazioni relative a geni utili per la resistenza a malattie e a siccità, per il miglioramento del sapore e della conservabilità, per l’aumento del contenuto di sostanze utili nella dieta (nutraceutica), per il potenziamento delle capacità fotosintetiche e non da ultimo l’incremento della resa. La disponibilità di tali informazioni in database molti dei quali pubblici, potrebbe consentire, attraverso l’impiego di NBTs, il loro utilizzo per lo sviluppo di nuove varietà in modo assai rapido e a costi contenuti.
Da tempo sono in atto sia a livello europeo che di singoli Stati Membri accesi dibattiti su come regolamentare i prodotti risultanti dall’applicazione di queste tecnologie, per i quali alcune parti politiche vorrebbe fossero assimilati agli OGM e come tali ricadere nell’ambito applicativo della Direttiva 2001/18/CE. La direttiva in questione presenta al suo interno un’esenzione a favore della mutagenesi, al tempo realizzata ancora con metodi tradizionali e come tale esclusa quindi da detto impianto normativo, che ora però si trova ad essere oggetto di un acceso confronto. Il Consiglio di Stato francese ha presentato infatti alla Corte di Giustizia europea alcuni quesiti inerenti alla inclusione di organismi ottenuti con vecchie e nuove tecniche di mutagenesi nella direttiva 2001/18/CE che regolamenta gli OGM. Un primo parere dell’Avvocatura generale della Corte di Giustizia europea sembra aprire alla possibilità di non dover regolamentare tali tecniche come OGM, suggerendo di porre attenzione non solo al metodo con il quale tali prodotti vengono ottenuti ma anche al risultato. Tuttavia, si tratta di un parere non vincolante per cui l’Unione ed i singoli Stati membri esprimeranno una loro posizione nei prossimi mesi.
Contemporaneamente, a inizio 2018 l’U.S. Department of Agriculture (USDA) ha informato che non regolamenterà le nuove tecniche di innovazione vegetale che portano ad un risultato conseguibile anche attraverso tecniche tradizionali di miglioramento genetico. Questi nuovi metodi offrono secondo l’USDA “la possibilità di introdurre molto più velocemente e con precisione il carattere desiderato, accelerando il processo di rilascio di nuove varietà, che promettono maggiore protezione da siccità e patogeni, un incremento del valore nutrizionale e l’eliminazione degli allergeni.”
Se l’applicazione dei complessi requisiti normativi previsti per gli OGM dovesse estendersi anche alle NBTs, i vantaggi forniti da tecniche quali il genome editing verrebbero a perdersi in un contesto normativo che, di fatto, ne ostacolerebbe l’impiego e la diffusione a tutto vantaggio dei pochi soggetti che possono economicamente sopportare i costi imposti dalla direttiva 2001/18/CE. Tutto il lavoro di ricerca e miglioramento genetico sinora sviluppato nella UE correrebbe il rischio di essere delocalizzato al di fuori dell’Europa, causando un esodo importante di risorse sia umane che economiche, con significative ricadute negative sui processi produttivi comunitari e quindi sull’economia della UE.
Di fronte a tele scenario l’Europa rischia non solo di perdere in competitività ma anche di “regalare” a chi deciderà di utilizzare le NBTs anni di risultati di progetti di ricerca, molti dei quali finanziati con soldi pubblici.
La posizione di Assosementi
Assosementi ritiene che:
- lo sviluppo competitivo e sostenibile della filiera agroalimentare possa essere garantito dalla ricerca e dalle innovazioni che da essa possono scaturire;
- i metodi di innovazione che si affacciano all’orizzonte rappresentano la naturale evoluzione delle tecniche convenzionali (ibridazione e selezione) che hanno assicurato sino ad oggi lo sviluppo dell’agricoltura;
- ogni valutazione sui nuovi metodi debba essere fatta caso per caso e debba basarsi su elementi scientifici e non emozionali, valutando il prodotto finito e non il processo impiegato per ottenerlo.
Inoltre, Assosementi:
- appoggia i nuovi metodi di miglioramento genetico per i quali si possa escludere con certezza il trasferimento in maniera permanente nella nuova pianta di DNA esogeno, in quanto ritiene che rappresentino strumenti eccezionali in grado di originare in maniera rapida ed efficace nuove varietà vegetali performanti, resistenti alle malattie, con migliori caratteristiche produttive e qualitative nel rispetto dell’ambiente, della sicurezza dei prodotti e capaci di soddisfare le attese di agricoltori, trasformatori e consumatori;
- sollecita l’introduzione di un quadro normativo chiaro, che faciliti l’applicazione dei nuovi metodi di breeding, anche e soprattutto a favore delle piccole e medie imprese;
- evidenzia che non vi sono differenze tra i prodotti ottenuti con tali metodi rispetto a quelli ottenuti con le tecniche tradizionali.
(1) United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population Division (2017). World Population Prospects: The 2017 Revision, custom data acquired via website (ONU – https://esa.un.org/unpd/wpp/)