Ricerca e Innovazione: la ricerca varietale al servizio del progresso in agricoltura

L’importanza della ricerca varietale (breeding)

L’AGRICOLTURA, PRENDENDO IL POSTO DELLA SELEZIONE NATURALE, HA COMINCIATO A GUIDARNE L’EVOLUZIONE PER RENDERE LE PIANTE SEMPRE PIÙ UTILI ALLE NECESSITÀ DELL’UOMO. ECCO PERCHÉ LA RICERCA DI NUOVE VARIETÀ SI CHIAMA “MIGLIORAMENTO GENETICO”.

L’agricoltura moderna è chiamata ad affrontare sfide sempre più importanti e impegnative, coniugando obiettivi di sicurezza alimentare e produttività, in un contesto generale caratterizzato da condizioni climatiche ed organizzative mutevoli.

Il rapido incremento demografico, atteso soprattutto nelle regioni più depresse del pianeta, genererà una popolazione di oltre 9,8 miliardi di individui entro il 2050, determinando una crescente urbanizzazione e una sensibile contrazione delle terre arabili.

I cambiamenti climatici e la globalizzazione dei
commerci
determineranno maggiore instabilità delle condizioni produttive, per via della diffusione di nuovi patogeni in grado di provocare emergenze fitosanitarie che dovranno essere gestite in uno scenario in cui i consumatori già oggi si attendono dall’agricoltura prodotti ottenuti attraverso un limitato ricorso all’utilizzo di agrofarmaci e in contesti produttivi sostenibili e a basso impatto ambientale.

L’agricoltura può dare risposte a tutte queste incognite solo attraverso una continua evoluzione, e l’innovazione varietale – vale a dire la capacità di incrociare e selezionare varietà vegetali per ottenerne delle nuove con specifiche caratteristiche di interesse per il mercato e i consumatori – ne è la chiave.

Questa attività, antica quanto l’agricoltura stessa, è stata svolta, sin dalle sue fasi iniziali, in modo inconsapevole attraverso la semplice selezione da parte degli agricoltori, tra le piante di una popolazione, di quelle visibilmente più promettenti in grado (forse) di dare luogo a progenie migliorate.

Per quasi tutta la sua storia, però, il miglioramento genetico ha dovuto aspettare il caso, ossia solo quando la natura casualmente produceva una variazione favorevole, l’agricoltore poteva cogliere l’opportunità a far riprodurre quella determinata pianta nel suo campo.

Ma è solo dopo le scoperte ad opera del biologo Gregor Mendel e all’emanazione delle sue leggi sull’ereditarietà dei caratteri nel 1865, che il miglioramento delle piante diviene una vera e propria scienza. Per ottenere piante migliorate non ci si affida più solamente al caso, ma sempre più importante diviene trovare piante con nuove ed interessanti caratteristiche per combinarle in innumerevoli nuove unioni.

Il patrimonio a cui può attingere da sempre chi si occupa di breeding è quello che viene definito “biodiversità”, ossia il frutto di migliaia diincroci spontanei e mutazioni naturali avvenute nel corso dei secoli.

L’aspetto forse più interessante che lega passato e futuro della ricerca varietale è la possibilità offerta ai breeder moderni di attingere a meccanismi di resistenza, ad esempio nei confronti di patogeni, ma anche a stress ambientali, che le diverse specie hanno avuto la possibilità di sviluppare nel corso della propria storia evolutiva. Tali caratteristiche, che sino ad oggi potrebbero non essere state adeguatamente valorizzate nelle varietà in commercio, poiché non rappresentavano un immediato vantaggio o una concreta opportunità per la pianta o per l’uomo, sono ora al centro dell’attenzione per la possibilità che hanno di fornire soluzioni alle esigenze dei nostri giorni. Bisogna sottolineare inoltre che le piante e l’ambiente che le circonda così come i patogeni che potrebbero attaccarle sono in continua evoluzione ed è quindi necessario un incessante lavoro di adattamento.

Ed è così che combinando più e più volte il germoplasma disponibile – attinto da varietà esistenti, dalle banche dei semi o da specie spontanee affini – i costitutori di varietà vegetali mettono a disposizione del mercato, al termine di un lungo percorso di selezione, una nuova varietà vegetale in grado di rispondere alle esigenze dell’agricoltore, della filiera alimentare, dei consumatori e in generale alle aspettative dell’opinione pubblica che chiede che la produzione primaria sia oltre che abbondante anche sostenibile.

La messa a punto di una qualsiasi novità vegetale è però un processo lungo e laborioso che comincia dalla valutazione della biodiversità disponibile per arrivare ad un genotipo idoneo ad incontrare l’interesse dell’agricoltura e del mercato. Tale processo, nella migliore delle ipotesi, richiede circa otto-dieci anni prima dell’immissione in commercio della nuova varietà, tenendo presente che più è ampia la biodiversità considerata inizialmente, maggiore sarà il numero di incroci effettuati e valutati, ovvero la probabilità di riuscita con tempi e costi significativi. In pratica, l’obiettivo di inserire un nuovo carattere in una varietà già apprezzata dal mercato (ad esempio per la produttività) richiede, attraverso il miglioramento genetico classico, un lavoro di anni di incroci e selezione necessari ad assicurare che il nuovo carattere risulti stabilmente espresso, ossia “fissato”, nel nuovo genotipo. In altro modo, limitando il numero di incroci e selezione si rischierebbe di assistere ad una “segregazione” del carattere, ossia la possibilità che una determinata percentuale della progenie continui a non manifestare la nuova caratteristica che si sta cercando di inserire.

In aggiunta alle naturali, lunghe tempistiche non bisogna dimenticare il rischio di impresa, cioè la possibilità che la nuova varietà non incontri il favore del mercato e non consenta, di conseguenza, quel necessario ritorno economico in grado di sostenere nuovi programmi di ricerca. Benché tale rischio sia comune a tutte le forme di impresa sul mercato, nel settore sementiero appare particolarmente elevato.

Quest’ultimo investe in ricerca significative risorse, fino al 15-20% del proprio fatturato annuo, una quota ben superiore a quella che altri settori industriali destinano a ricerca ed innovazione.

Studi recenti (The economic, social and environmental value of plant breeding in the European Union realizzato dall’HFFA Research GmbH, autore Steffen Noleppa) hanno dimostrato il fondamentale supporto dell’attività di miglioramento genetico vegetale allo sviluppo dei moderni sistemi produttivi. Tali lavori hanno evidenziato ad esempio come negli ultimi 15 anni:

  • la produzione annua di patate sia aumentata di 10 milioni di tonnellate, facendo della UE un soggetto esportatore anziché importatore. Il 60% di tale aumento può essere attribuito al miglioramento genetico;
  • la produzione europea di frumento è cresciuta di oltre 22 milioni di tonnellate. L’80% di tale aumento può essere attribuito al miglioramento genetico;
  • la produzione europea di colza è aumentata di 3,3 milioni di tonnellate sufficienti a produrre 1,4 miliardi di litri di biodiesel. L’80% di tale aumento può essere attribuito al miglioramento genetico, senza considerare le ricadute positive ed estremamente importanti in termini di stabilità dei prezzi, occupazione, sostenibilità ambientale con minori emissioni di CO2 e risparmio idrico.

Nonostante la portata degli investimenti e dei risultati finora ottenuti, i tempi derivanti dall’impiego di tecniche di miglioramento tradizionali sono troppi lunghi per poter sostenere i ritmi dei cambiamenti globali e la velocità con cui mutano, si evolvono e si diffondono molti dei patogeni che colpiscono le varietà coltivate.

I nuovi metodi di miglioramento genetico (NGT)

Come tutte le scienze, anche l’agricoltura può e deve innovarsi. Nel corso dell’ultimo secolo, il miglioramento genetico ha affrontato quelli che rappresentano gli obiettivi classici di breeding (resistenze, produttività, qualità) sfruttando una vasta gamma di tecniche, alcune più tradizionali come l’incrocio tra varietà già note con altre più “lontane” o addirittura con specie diverse ma affini, ovvero ancora ricorrendo alla mutagenesi indotta da agenti chimici o fisici, con l’obiettivo di generare nuova variabilità, riproducendo ciò che in natura si concretizza molto raramente e che altrettanto raramente si ha la fortuna di individuare.

Dagli anni ‘90 sono state utilizzate inoltre molte tecniche di biologia molecolare, tra cui i marcatori molecolari (MAS, Marker Assisted Selection) che hanno aiutato i breeder a non dipendere più dal caso nell’utilizzare la variabilità nella direzione indicata dal mercato mettendo a disposizione varietà in grado di produrre di più e di rispondere concretamente alla crescente domanda di cibo. Nel corso dell’ultimo decennio sono state inoltre ridefinite profondamente le modalità di breeding grazie alle informazioni disponibili sulla sequenza dei genomi e funzioni dei geni.

Gli strumenti di breeding più innovativi di cui oggi dispongono i ricercatori sono genericamente definiti NGT (New Genomic Techniques) o TEA (Tecnologie per l’Evoluzione Assistita).

Grazie a queste tecnologie (genome editing in particolare) è possibile ridurre drasticamente i tempi necessari perprodurre nuove varietà. È inoltre possibile applicarle a più specie, ivi incluse quelle minori, a costi sostenibili anche per le piccole e medie imprese.

Fatto salvo che la fase iniziale del processo di breeding si concentri sull’identificazione di caratteristiche utili presenti nella biodiversità esistente, con il ricorso alle NGT tali caratteristiche possono essere trasferite in modo mirato e specifico, andandole ad inserire in varietà che poterebbero essere già quasi idonee al commercio, riducendo il numero di incroci e le tempistiche per la immissione sul mercato.

Va inoltre sottolineato che i prodotti risultanti dall’impiego di queste tecniche possono essere del tutto analoghi ed indistinguibili da quelli ottenuti con tecniche di miglioramento genetico convenzionale o attraverso mutazioni che avvengono spontaneamente in natura.

Grazie ai tanti progetti di ricerca svolti in centri internazionali e nazionali per lo screening della biodiversità esistente in molte specie, sono disponibili informazioni relative a geni utili per la resistenza a malattie e a siccità, per il miglioramento del sapore e della conservabilità, per l’aumento del contenuto di sostanze utili nella dieta (nutraceutica), per il potenziamento delle capacità fotosintetiche e non da ultimo l’incremento della resa.

La disponibilità di tali informazioni in database molti dei quali pubblici, potrebbe consentire, attraverso l’impiego di NGT, il loro utilizzo per lo sviluppo di nuove varietà in modo assai rapido e a costi contenuti. Gli ambiziosi obiettivi di sostenibilità del Farm to Fork potrebbero inoltre essere più facilmente raggiungibili proprio grazie a tali tecnologie.

La Corte di Giustizia Europea, con la sentenza del 25 Luglio 2018, si è però espressa sull’applicazione della Direttiva 2001/18 alle NGT equiparando i prodotti ottenuti mediante tali tecniche ad OGM.

Per quanto riguarda l’Italia, inoltre, la decisione del 1° Ottobre 2015 che vieta su tutto il territorio nazionale gli OGM che rientrano nel campo di applicazione della Direttiva 2001/18, unita alla decisione della Corte, vieta di fatto la coltivazione dei prodotti ottenuti con tali tecnologie, indipendentemente da ogni altra considerazione sulle loro effettive caratteristiche.

Il caso delle NGT è emblematico ed evidenzia come, in termini generali, l’adozione di un quadro regolatorio basato sulla verifica del solo processo produttivo e non anche sull’analisi del prodotto finale (ossia quanto esso si discosti da ciò che sarebbe ottenibile anche attraverso tecniche “tradizionali”), mini alla base lo sviluppo di qualunque innovazione e neghi i relativi benefici che potrebbero derivarne.

La scelta di rinunciare, per principio, ad una nuova opportunità, senza indagarne a fondo i meccanismi e tutti i possibili scenari, in favore di un’utopica stasi, non potrà che portare al declino del progresso in agricoltura e con esso alla perdita di competitività del settore primario, a tutto vantaggio di quei pochi soggetti che, forti dei propri mezzi, potrebbero comunque decidere di rimanere in Europa e sopportare il peso di una burocrazia sbagliata e onerosa, ovvero in alternativa scegliere di trasferire la ricerca e la messa a punto di nuove varietà in aree del mondo nelle quali le scelte relative all’innovazione scientifica vengono prese con maggiore rigore.

La posizione di Assosementi

QUALUNQUE INNOVAZIONE PRIMA DI ESSERE IMPLEMENTATA DEVE ESSERE APPROFONDITA PER COMPRENDERNE A FONDO RISCHI REALI E BENEFICI. IL GENOME EDITING È UN PASSO AVANTI DECISIVO, SOLO PERCHÉ RENDE MOLTO PIÙ FACILE QUELLO CHE ABBIAMO SEMPRE FATTO.

ASSOSEMENTI RITIENE CHE:

  • lo sviluppo competitivo e sostenibile della filiera agroalimentare possa essere garantito dalla ricerca e dalle innovazioni che da essa possono scaturire;
  • i metodi di innovazione che si affacciano all’orizzonte rappresentano la naturale evoluzione delle tecniche convenzionali (ibridazione e selezione) che hanno assicurato sino ad oggi lo sviluppo dell’agricoltura;
  • ogni valutazione sui nuovi metodi debba essere fatta caso per caso e debba basarsi su elementi scientifici e non emozionali, valutando il prodotto finito e non il processo impiegato per ottenerlo.

INOLTRE, ASSOSEMENTI:

  • appoggia i nuovi metodi di miglioramento genetico per i quali si possa escludere con certezza il trasferimento in maniera permanente nella nuova pianta di DNA esogeno, in quanto ritiene che rappresentino strumenti eccezionali in grado di originare in maniera rapida ed efficace nuove varietà vegetali performanti, resistenti alle malattie, con migliori caratteristiche produttive e qualitative nel rispetto dell’ambiente, della sicurezza dei prodotti e capaci di soddisfare le attese di agricoltori, trasformatori e consumatori;
  • evidenzia che le NGT possono migliorare la capacità di garantire la sicurezza alimentare, fornire risorse rinnovabili, salvaguardare la conservazione della biodiversità e proteggere l’ambiente e sottolinea come senza di esse tali obiettivi potrebbero essere difficilmente raggiungibili;
  • sollecita l’introduzione di un quadro normativo chiaro, che faciliti l’applicazione dei nuovi metodi di breeding, anche e soprattutto a favore delle piccole e medie imprese;

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